Manifesti futuristi

Manifesti futuristi

Manifesto del futurismo

Filippo Tommasi Marinetti
«Figaro» – 20 febbraio 1909

Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso fulgòre di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture.
Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo soli, in quell’ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all’esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti. Soli coi fuochisti che s’agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d’ali, lungo i muri della città.
Sussultammo ad un tratto, all’udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sràdica d’improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso i gorghi di un diluvio.
Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l’estenuato borbottìo, di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell’ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.
«Andiamo,» diss’io, «andiamo, amici! Partiamo! Finalmente, la mitologia e l’ideale mistico sono superati. Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto vedremo volare i primi Angeli!… Bisognerà scuotere le porte della vita per provarne i cardini e i chiavistelli!… Partiamo! Ecco, sulla terra, la primissima aurora! Non v’è cosa che agguagli lo splendore della rossa spada del sole che schermeggia per la prima volta nelle nostre tenebre millenarie! … »
Ci avvicinammo alle tre belve sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. lo mi stesi sulla mia macchina come un cadavere nella bara, ma subito risuscitai sotto il volante, lama di ghigliottina che minacciava il mio stomaco.
La furente scopa della pazzia ci strappò a noi stessi e ci cacciò attraverso le vie, scoscese e profonde come letti di torrenti. Qua e là una lampada malata, dietro i vetri d’una finestra, c’insegnava a disprezzare la fallace matematica dei nostri occhi perituri.
Io gridai: «Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve!»
E noi, come giovani leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci, che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante.
Eppure non avevamo un’Amante ideale che ergesse fino alle nuvole la sua sublime figura, né una Regina crudele a cui offrire le nostre salme, contorte a guisa di anelli bisantini! Nulla, per voler morire, se non il desiderio di liberarci finalmente dal nostro coraggio troppo pesante!
E noi correvamo schiacciando su le soglie delle case i cani da guardia che si arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto, per porgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera, sguardi vellutati e carezzevoli.
«Usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio, e gettiamoci, come frutti pimentati d’orgoglio, entro la bocca immensa e tôrta del vento!… Diamoci in pasto all’Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell’Assurdo! »
Avevo appena pronunziate queste parole, quando girai bruscamente su me stesso, con la stessa ebrietà folle dei cani che voglion mordersi la coda, ed ecco ad un tratto venirmi incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come due ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contradittorii. Il loro stupido dilemma discuteva sul mio terreno… Che noia! Auff!… Tagliai corto, e, pel disgusto, mi scaraventai colle ruote all’aria in un fossato…
Oh! materno fossato, quasi pieno di un’acqua fangosa! Bel fossato d’officina! lo gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese… Quando mi sollevai – cencio sozzo e puzzolente – di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia!
Una folla di pescatori armati di lenza e di naturalisti podagrosi tumultuava già intorno al prodigio. Con cura paziente e meticolosa, quella gente dispose alte armature ed enormi reti di ferro per pescare il mio automobile, simile ad un gran pescecane arenato. La macchina emerse lentamente dal fosso, abbandonando nel fondo, come squame, la sua pesante carrozzeria di buon senso e le sue morbide imbottiture di comodità.
Credevano che fosse morto, il mio bel pescecane, ma una ta, malattia che si riteneva colmia carezza bastò a rianimarlo, ed eccolo risuscitato, eccolo Pisse le persone sedentarie). in corsa, di nuovo, sulle sue pinne possenti!
Allora, col volto coperto della buona melma delle officine – impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti – noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra:

Manifesto del futurismo

1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6, Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii.
Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.
Musei: cimiteri!… Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che varino trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!
Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti… ve lo concedo. Che una volta all’anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo… Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché volersi avvelenare? Perché volere imputridire?
E che mai si può vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell’artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?… Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.
Volete dunque sprecare tutte le forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?
In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati! … ) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl’infermi, pei prigionieri, sia pure: – l’ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poiché per essi l’avvenire è sbarrato… Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!
E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!… Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!… Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!… Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!… Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite senza pietà le città venerate!
I più anziani fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!
Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche.
Ma noi non saremo là… Essi ci troveranno alfine – una notte d’inverno – in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell’atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d’oggi fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini.
Essi tumultueranno intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti, esasperati dal nostro superbo, instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci, spinti da un odio tanto più implacabile inquantoché i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi.
La forte e sana Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. – L’arte, infatti, non può essere che violenza, crudeltà ed ingiustizia.
I più anziani fra noi hanno trent’anni: eppure, noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori di forza, di amore, d’audacia, d’astuzia e di rude volontà; li abbiamo gettati via impazientemente, in furia, senza contare, senza mai esitare, senza riposarci mai, a perdifiato… Guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poiché sono nutriti di fuoco, di odio e di velocità!… Ve ne stupite?… E logico, poiché voi non vi ricordate nemmeno di aver vissuto! Ritti sulla cima delmondo, noi scagliamo una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!
Ci opponete delle obiezioni?… Basta! Basta! Le conosciamo… Abbiamo capito!… La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. – Forse!… Sia pure!… Ma che importa? Non vogliamo intendere!… Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!…
Alzare la testa!…
Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!…

Manifesto tecnico della letteratura futurista
11 maggio 1912

Antologia dei Poeti futuristi pubblicata dalle Edizioni di «Poesia», rivista  fondata a Milano nel 1905 da Filippo Tommasi Marinetti con Sem Benelli e Vitaliano Ponti.


In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando!
Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaiuoli di Milano. E l’elica soggiunse:
1. Bisogna distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono.
2. Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all’infinito può, solo, dare il senso della continuità della vita e l’elasticità dell’intuizione che la percepisce.
3. Si deve abolire l’aggettivo, perché il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale. L’aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è inconcepibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta, una meditazione.
4. Si deve abolire l’avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l’una all’altra le parole. L’avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di tono.
5. Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto.
Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza dei mondo, la percezione per analogia diventa sempre più naturale per l’uomo. Bisogna dunque sopprimere il come, il quale, il così, il simile a. Meglio ancora, bisogna fondere direttamente l’oggetto coll’immagine che esso evoca, dando l’immagine in iscorcio mediante una sola parola essenziale.
6. Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro direzioni, s’impiegheranno segni della matematica: + – x : = > <, e i segni musicali.
7. Gli scrittori si sono abbandonati finora all’analogia immediata. Hanno paragonato per esempio l’animale all’uomo o ad un altro animale, il che equivale ancora, press’a poco, a una specie di fotografia… (Hanno paragonato per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue. Altri, più avanzati, potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante a una piccola macchina Morse. Io lo paragono invece a un’acqua ribollente. V’è in ciò una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi.)
L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico, e polimorfo, può abbracciare la vita della materia.
Quando nella mia Battaglia di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di baionette a un’orchestra, una mitragliatrice ad una donna fatale, ho introdotto intuitivamente una gran parte dell’universo in un breve episodio di battaglia africana.
Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia deve essere un seguito ininterrotto di immagini nuove senza di che non è altro che anemia e clorosi.
Quanto più le immagini contengono rapporti vasti, tanto più a lungo esse conservano la loro forza di stupefazione. Bisogna – dicono – risparmiare la meraviglia del lettore. Eh! via! Curiamoci, piuttosto, della fatale corrosione del tempo, che distrugge non solo il valore espressivo di un capolavoro, ma anche la sua forza di stupefazione. Le nostre vecchie orecchie troppe volte entusiaste non hanno forse già distrutto Beethoven e Wagner? Bisogna dunque abolire nella lingua tutto ciò che essa contiene in fatto d’immagini stereotipate, di metafore scolorite, e cioè quasi tutto.
8. Non vi sono categorie d’immagini, nobili o grossolane o volgari, eccentriche o naturali. L’intuizione che le percepisce non ha né preferenze né partiti-presi. Lo stile analogico è dunque padrone assoluto di tutta la materia e della sua intensa vita.
9. Per dare i movimenti successivi d’un oggetto bisogna dare la catena delle analogie che esso evoca, ognuna condensata, raccolta in una parola essenziale.
Ecco un esempio espressivo di una catena di analogie ancora mascherate e appesantite dalla sintassi tradizionale:

Eh sì! voi siete, piccola mitragliatrice, una donna affascinante, e sinistra, e divina, al volante di una invisibile centocavalli, che rugge con scoppii d’impazienza. Oh! certo fra poco balzerete nel circuito della morte, verso il capitombolo fracassante o la vittoria!… Volete che io vi faccia dei madrigali pieni di grazia e di colore? A vostra scelta signora… Voi somigliate per me, a un tribuno proteso, la cui lingua eloquente, instancabile, colpisce al cuore gli uditori in cerchio, commossi… Siete, in questo momento, un trapano onnipotente, che fora in tondo il cranio troppo duro di questa notte ostinata… Siete, anche, un laminatoio, un tornio elettrico, e che altro? Un gran cannello ossidrico che brucia, cesella e fonde a poco a poco le punte metalliche delle ultime stelle!.. (Battaglia di Tripoli)

In certi casi bisognerà unire le immagini a due a due, come le palle incatenate, che schiantano, nel loro volo tutto un gruppo d’alberi.
Per avviluppare e cogliere tutto ciò che vi è di più fuggevole e di più inafferrabile nella materia, bisogna formare delle strette reti d’immagini o analogie, che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni. Salvo la forma a festoni tradizionale, questo periodo del mio Mafarka il futurista è un esempio di una simile fitta rete di immagini:

Tutta l’acre dolcezza della gioventù scomparsa gli saliva su per la gola, come dai cortili delle scuole salgono le grida allegre dei fanciulli verso i maestri affacciati al parapetto delle terrazze da cui si vedono fuggire i bastimenti…

Ed ecco ancora tre reti d’immagini:

Intorno al pozzo della Bumeliana, sotto gli olivi folti, tre cammelli comodamente accovacciati nella sabbia si gargarizzavano dalla contentezza, come vecchie grondaie di pietra, mescolando il ciac-ciac dei loro sputacchi ai tonfi regolari della pompa a vapore che dà da bere alla città. Stridori e dissonanze futuriste, nell’orchestra profonda delle trincee dai pertugi sinuosi e dalle cantine sonore, fra l’andirivieni delle baionette, archi di violino che la rossa bacchetta del tramonto infiamma di entusiasmo…

È il il tramonto-direttore d’orchestra, che con un gesto ampio raccoglie i flauti sparsi degli uccelli negli alberi, e le arpe lamentevoli degli insetti, e lo scricchiolìo dei rami, e lo stridìo delle pietre. È lui che ferma a un tratto i timpani delle gamelle e dei fucili cozzanti, per lasciar cantare a voce spiegata sull’orchestra degli strumenti in sordina, tutte le stelle d’oro, ritte, aperte le braccia, sulla ribalta del cielo. Ed ecco una gran dama allo spettacolo… Vastamente scollacciato, il deserto infatti mette in mostra il suo seno immenso dalle curve liquefatte, tutte verniciate di belletti rosei sotto le gemme crollanti della prodiga notte. (Battaglia di Tripoli)

10. Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell’intelligenza cauta e guardinga, bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un maximum di disordine.
11. Distruggere nella letteratura l’«io», cioè tutta la psicologia. L’uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l’essenza a colpi d’intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici.
Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi, la respirazione, la sensibilità e gli istinti dei metalli, delle pietre, del legno ecc. Sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia.
Guardatevi dal prestare alla materia i sentimenti umani, ma indovinate piuttosto i suoi differenti impulsi direttivi, le sue forze di compressione, di dilatazione, di coesione, e di disgregazione, le sue torme di molecole in massa o i suoi turbini di elettroni. Non si tratta di rendere i drammi della materia umanizzata. È la solidità di una lastra d’acciaio, che c’interessa per sé stessa, cioè l’alleanza incomprensibile e inumana delle sue molecole o dei suoi elettroni, che si oppongono, per esempio, alla penetrazione di un obice. Il calore di un pezzo di ferro o di legno è ormai più appassionante, per noi, del sorriso o delle lagrime di una donna.
Noi vogliamo dare, in letteratura, la vita del motore, nuovo animale istintivo del quale conosceremo l’istinto generale allorché avremo conosciuto gl’istinti delle diverse forze che lo compongono.
Nulla è più interessante, per un poeta futurista, che l’agitarsi della tastiera di un pianoforte meccanico. Il cinematografo ci offre la danza di un oggetto che si divide e si ricompone senza intervento umano. Ci offre anche lo slancio a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e rimbalzano violentemente sul trampolino. Ci offre infine la corsa d’un uomo a 200 chilometri all’ora. Sono altrettanti movimenti della materia, fuor dalle leggi dell’intelligenza, e quindi di una essenza più significativa.
Bisogna introdurre nella letteratura tre elementi che furono finora trascurati:

1. il rumore (manifestazione del dinamismo degli oggetti);
2. il peso (facoltà di volo degli oggetti);
3. l’odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti).

Sforzarsi di rendere per esempio il paesaggio di odori che percepisce un cane. Ascoltare i motori e riprodurre i loro discorsi.
La materia fu sempre contemplata da un io distratto, freddo, troppo preoccupato di sé stesso, pieno di pregiudizi di saggezza e di ossessioni umane.
L’uomo tende a insudiciare della sua gioia giovane o del suo dolore vecchio la materia, che possiede una ammirabile continuità di slancio verso un maggiore ardore, un maggior movimento, una maggiore suddivisione di sé stessa. La materia non è né triste né lieta. Essa ha per essenza il coraggio, la volontà e la forza assoluta. Essa appartiene intera al poeta divinatore che saprà liberarsi dalla sintassi tradizionale, pesante, ristretta, attaccata al suolo, senza braccia e senza ali perché è soltanto intelligente. Solo il poeta asintattico e dalle parole slegate potrà penetrare l’essenza della materia e distruggere la sorda ostilità che la separa da noi.
Il periodo latino che ci ha servito finora era un gesto pretensioso col quale l’intelligenza tracotante e miope si sforzava di domare la vita multiforme e misteriosa della materia. Il periodo latino era dunque nato morto.
Le intuizioni profonde della vita congiunte l’una all’altra, parola per parola, secondo il loro nascere illogico, ci daranno le linee generali di una psicologia intuitiva della materia. Essa si rivelò al mio spirito dall’alto di un aeroplano. Guardando gli oggetti, da un nuovo punto di vista, non più di faccia o per di dietro, ma a picco, cioè di scorcio, io ho potuto spezzare le vecchie pastoie logiche e i fili a piombo della comprensione antica.
Voi tutti che mi avete amato e seguito fin qui, poeti futuristi, foste come me frenetici costruttori d’immagini e coraggiosi esploratori di analogie. Ma le vostre strette reti di metafore sono disgraziatamente troppo appesantite dal piombo della logica. lo vi consiglio di alleggerirle, perché il vostro gesto immensificato possa lanciarle lontano, spiegate sopra un oceano più vasto.
Noi inventeremo insieme ciò che io chiamo l’immaginazione senza fili. Giungeremo un giorno ad un’arte ancor più essenziale, quando oseremo sopprimere tutti i primi termini delle nostre analogie per non dare più altro che il seguito ininterrotto dei secondi termini. Bisognerà, per questo, rinunciare ad essere compresi. Esser compresi, non è necessario. Noi ne abbiamo fatto a meno, d’altronde, quando esprimevamo frammenti della sensibilità futurista mediante la sintassi tradizionale e intellettiva.
La sintassi era una specie di cifrario astratto che ha servito ai poeti per informare le folle del colore, della musicalità, della plastica e dell’architettura dell’universo. La sintassi era una specie d’interprete o di cicerone monotono. Bisogna sopprimere questo intermediario, perché la letteratura entri direttamente nell’universo e faccia corpo con esso.
Indiscutibilmente la mia opera si distingue nettamente da tutte le altre per la sua spaventosa potenza di analogia. La sua ricchezza inesauribile d’immagini uguaglia quasi il suo disordine di punteggiatura logica. Essa mette capo al primo manifesto futurista, sintesi di una 100 HP lanciata alle più folli velocità terrestri.
Perché servirsi ancora di quattro ruote esasperate che s’annoiano, dal momento che possiamo staccarci dal suolo? Liberazione delle parole, ali spiegate dell’immaginazione, sintesi analogica della terra abbracciata da un solo sguardo e raccolta tutta intera in parole essenziali.
Ci gridano: «La vostra letteratura non sarà bella! Non avremo più la sinfonia verbale, dagli armoniosi dondolii, e dalle cadenze tranquillizzanti!» Ciò è bene inteso! E che fortuna! Noi utilizziamo, invece, tutti i suoni brutali, tutti i gridi espressivi della vita violenta che ci circonda. Facciamo coraggiosamente il «brutto» in letteratura, e uccidiamo dovunque la solennità. Via! non prendete di quest’arie da grandi sacerdoti, nell’ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull’Altare dell’Arte! Noi entriamo nei dominii sconfinati della libera intuizione. Dopo il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà!
Non c’è in questo, niente di assoluto né di sistematico. Il genio ha raffiche impetuose e torrenti melmosi. Esso impone talvolta delle lentezze analitiche ed esplicative. Nessuno può rinnovare improvvisamente la propria sensibilità. Le cellule morte sono commiste alle vive. L’arte è un bisogno di distruggersi e di sparpagliarsi, grande innaffiatoio di eroismo che inonda il mondo. 1 microbi – non lo dimenticate – sono necessari alla salute dello stomaco e dell’intestino. Vi è anche una specie di microbi necessaria alla vitalità dell’arte, questo prolungamento della foresta delle nostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell’infinito dello spazio e del tempo.
Poeti futuristi! lo vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per prepararvi a odiare l’intelligenza, ridestando in voi la divina intuizione, dono caratteristico delle razze latine. Mediante l’intuizione, vinceremo l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori.
Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza logica.

Manifesto dei Pittori Futuristi


11 Febbraio 1910
Umberto Boccioni , Carlo Dalmazzo Carrà , Luigi Russolo, Giacomo Balla , Gino Severini

Agli artisti giovani d’Italia!
Il grido di ribellione che noi lanciamo, associando i nostri ideali a quelli dei poeti futuristi, non parte già da una chiesuola estetica, ma esprime il violento desiderio che ribolle oggi nelle vene di ogni artista creatore. Noi vogliamo combattere accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobistica del passato, alimentata dall’esistenza nefasta dei musei.
Ci ribelliamo alla supina ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e all’entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio, corroso dal tempo, e giudichiamo ingiusto, delittuoso, l’abituale disdegno per tutto ciò che è giovane, nuovo e palpitante di vita.
Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro.
Noi siamo nauseati dalla pigrizia vile che dal Cinquecento in poi fa vivere i nostri artisti d’un incessante sfruttamento delle glorie antiche. Per gli altri popoli, l’Italia è ancora una terra di morti, un’immensa Pompei biancheggiante di sepolcri. L’Italia invece rinasce, e al suo risorgimento politico segue il risorgimento intellettuale.
Nel paese degli analfabeti vanno moltiplicandosi le scuole: nel paese del dolce far niente ruggono ormai officine innumerevoli: nel paese dell’estetica tradizionale spiccano oggi il volo ispirazioni sfolgoranti di novità. È vitale soltanto quell’arte che trova i propri elementi nell’ambiente che la circonda.
Come i nostri antenati trassero materia d’arte dall’atmosfera religiosa che incombeva sulle anime loro, cosi noi dobbiamo ispirarci ai tangibili miracoli della vita contemporanea, alla ferrea rete di velocità che avvolge la Terra, ai transatlantici, alle Dreadnought, ai voli meravigliosi che solcano i cieli, alle audacie tenebrose dei navigatori subacquei, alla lotta spasmodica per la conquista dell’ignoto. E possiamo noi rimanere insensibili alla frenetica attività delle grandi capitali, alla psicologia nuovissima del nottarnbulismo, alle figure febbrili del viveur, della cocotte, dell’apache, e dell’alcolizzato?
Volendo noi pure contribuire al necessario rinnovamento di tutte le espressioni d’arte, dichiariamo guerra, risolutamente, a tutti quegli artisti e a tutte quelle istituzioni che, pur camuffandosi d’una veste di falsa modernità, rimangono invischiati nella tradizione, nell’accademismo, e sopratutto in una ripugnante pigrizia cerebrale. Noi denunciamo al disprezzo dei giovani tutta quella canaglia incosciente che a Roma applaude a una stomachevole rifioritura di classicismo rammollito; che a Firenze esalta dei nevrotici cultori d’un arcaismo ermafrodito; che a Milano rimunera una pedestre e cieca manualità quarantottesca; che a Torino incensa una pittura da funzionari governativi in pensione, e a Venezia glorifica un farraginoso patinume da alchimisti fossilizzati!
Insorgiamo, insomma, contro la superficialità, la banalità e la facilità bottegaia e cialtrona che rendono profondamente spregevole la maggior parte degli artisti rispettati di ogni regione d’Italia. Via, dunque, restauratori prezzolati di vecchie croste! Via, archeologhi affetti da necrofilia cronica! Via, critici, compiacenti lenoni! Via, accademie gottose, professori ubbriaconi e ignoranti! Via! Domandate a questi sacerdoti del vero culto, a questi depositari delle leggi estetiche, dove siano oggi le opere di Giovanni Segantini; domandate loro perché le Commissioni ufficiali non si accorgano dell’esistenza di Gaetano Previati; domandate loro dove sia apprezzata la scultura di Medardo Rosso!…
E chi si cura di pensare agli artisti che non hanno vent’anni di lotte e di sofferenze, ma che pur vanno preparando opere destinate ad onorare la patria? Hanno ben altri interessi da difendere, i critici pagati! Le esposizioni i concorsi, la critica superficiale e non mai disinteressata condannano l’arte italiana all’ignominia di una vera prostituzione! E che diremo degli specialisti? Suvvia! Finiamola, coi Ritrattisti, cogl’Internisti, coi Laghettisti, coi Montagnisti!…
Li abbiamo sopportati abbastanza, tutti codesti impotenti pittori da villeggiatura! Finiamola con gli sfregiatori di marmi che ingombrano le piazze e profanano i cimiteri! Finiamola con l’architettura affaristica degli appaltatori di cementi armati! Finiamola coi decoratori da strapazzo, coi falsificatori di ceramiche, coi cartellonisti venduti e cogli illustratori sciatti e balordi!
Ed ecco le nostre conclusioni recise: Con questa entusiastica adesione al futurismo, noi vogliamo:
1) Distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico.
2) Disprezzare profondamente ogni forma d’imitazione.
3) Esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima.
4) Trarre coraggio ed orgoglio dalla facile faccia di pazzia con cui si sferzano e s’imbavagliano gl’innovatori.
5) Considerare i critici d’arte come inutili e dannosi.
6) Ribellarci contro la tirannia delle parole: armonia e di buon gusto, espressioni troppo elastiche, con le quali si potranno facilmente demolire l’opera di Rembrandt, quella di Goya e quella di Rodin.
7) Spazzar via dal campo ideale dell’arte tutti i motivi, tutti i soggetti già sfruttati.
otto) Rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa. Siano sepolti i morti nelle più profonde viscere della terra! Sia sgombra di mummie la soglia del futuro! Largo ai giovani, ai violenti, ai temerari!

La scultura futurista

Boccioni 11 aprile 1912

(….) Non vi può essere rinnovamento alcuno in un’arte se non viene rinnovata l’essenza, cioè la visione e la concezione della linea e delle mosse che formano l’arabesco.
Non è solo riproducendo gli aspetti esteriori della vita contemporanea che l’arte diventa espressione del proprio tempo, e perciò la scultura come è stata intesa fin’adesso dagli artisti del secolo passato e del precedente è un mostruoso anacronismo!
La scultura non ha progredito a causa della ristrettezza del campo assegnatole dal concetto accademico del NUDO.
Un’arte che ha bisogno di spogliare interamente un uomo o una donna per cominciare la sua funzione emotiva è un’arte morta!
La pittura s’è rinsanguata, approfondita e allargata mediante il paesaggio e l’ambiente fatti simultaneamente agire sulla figura umana o sugli oggetti, giungendo alla nostra FUTURISTA COMPENETRAZIONE DEI PIANI.
Così la scultura trovarè nuova sorgente di emozione, quindi di stile, estendendo la sua plastica a quello che la nostra rozzezza barbara ci ha fatto fino ad oggi considerare come suddiviso, impalpabile, quasi inesprimibile plasticamente.
Noi dobbiamo partire dal nucleo centrale dell’oggetto che si vuol creare, per scoprire le nuove leggi, cioè le nuove forme che lo legano invisibilmente, ma matematicamente all’INFINITO PLASTICO APPARENTE o all’INFINITO PLASTICO INTERIORE.
La nuova plastica Sarà dunque la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro, nel legno o in qualsiasi altra materia dei piani atmosferici che legano e intersecano le cose.
Questa visione che io ho chiamato TRASCENDENTALISMO FISICO potrà rendere plastiche le simpatie e le affinità misteriose che creano le reciproche influenze formali dei piani degli oggetti.
La scultura deve quindi far vivere gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro prolungamento nello spazio, poiché nessuno può dubitare che un oggetto finisca dove un altro comincia e non v’è cosa che non circondi il nostro corpo: bottiglia, automobile, casa, albero, strada che non lo tagli e non lo sezioni con un arabesco di curve rette
In scultura come in pittura non si può rinnovare se non cercando LO STILE DEL MOVIMENTO, cioè rendendo sistematico e definitivo come sintesi quello che l’impressionismo ha dato come frammentario, accidentale, quindi analitico.
E questa sistemazione delle vibrazioni delle luci delle compenetrazioni produrrà la scultura futurista, il cui fondamento Sarà architettonico non soltanto come costruzione di masse, ma in modo che il blocco scultorio abbia in sè gli elementi architettonici dell’AMBIENTE SCULTORIO in cui vive il soggetto.
Naturalmente noi daremo una SCULTURA D’AMBIENTE.
Una composizione scultoria futurista avrà in sè i meravigliosi elementi matematici e geometrici che compongono gli oggetti del nostro tempo.
E questi oggetti non saranno vicini alla statua come attributi esplicativi o elementi decorativi staccati, ma, seguendo le leggi di una nuova concezione dell’armonia, saranno incastrati nelle linee muscolari di un corpo.
Cosi’, dall’ascella di un meccanico porta’ uscire la ruota di un congegno, così la linea di un tavolo porta’ tagliare la testa di chi legge e il libro sezionare col suo ventaglio di pagine lo stomaco del lettore.
Perché la scultura dovrebbe rimanere indietro, legata a leggi che nessuno ha il diritto di imporle?
Rovesciamo tutto, dunque, e proclamiamo l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa.
Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente.
Proclamiamo che l’ambiente deve far parte del blocco plastico come un mondo a se e con leggi proprie; che il marciapiede può salire sulla vostra tavola e che la vostra testa può attraversare la strada mentre tra una casa e l’altra la vostra lampada allaccia la sua ragnatela di raggi di gesso.
Proclamiamo che tutto il mondo apparente deve precipitarsi su di noi amalgamandosi, creando un’armonia colla sola misura dell’intuizione creativa; che una gamba, un braccio o un oggetto, non avendo importanza se non come oggetti del ritmo plastico, possono essere abolite non per imitare un frammento greco o romano, ma per ubbidire all’armonia che l’autore vuol creare.
Un insieme scultorio, come un quadro, non può assomigliare che a se stesso, poiché la figura e le cose devono vivere in arte al di fuori della logica fisionomica.
Così una figura può essere vestita in un braccio e nuda nell’altro e le diverse linee di un vaso di fiori possono rincorrersi agilmente tra le linee del cappello e quelle del collo.
Così dei piani trasparenti, dei vetri, delle lastre di metallo, dei fili delle luci elettriche esterne o interne potranno indicare i piani, le tendenze, i toni, i semitoni di una nuova realtà.
Così una nuova intuitiva colorazione di bianco, di grigio, di nero, può aumentare la forza emotiva dei piani, mentre la nota di un piano colorato accentuarè con violenza il significato astratto del fatto plastico.
Ciò che abbiamo detto sulle LINEE-FORZE in pittura può dirsi anche per la scultura, facendo vivere la linea muscolare statica nella linea forza dinamica.
In questa linea muscolare predominarè la linea retta, che è la sola corrispondente alla semplicità interna della sintesi che noi contrapponiamo al barocchismo esterno dell’analisi.
Ma la linea retta non ci condurrà all’imitazione degli egizi, dei primitivi o dei selvaggi, come qualche scultore moderno ha disperatamente tentato per liberarsi dal greco, la nostra linea retta Sarà viva e palpitante, si prestarè a tutte le necessita’ delle infinite espressioni della materia, e la sua nuda severità fondamentale Sarà simbolo della severità di acciaio delle linee del macchinario moderno.
Possiamo infine affermare che nella scultura l’artista non deve indietreggiare davanti ad alcun mezzo pur di ottenere una REALTÀ.
Nessuna paura è più stupida di quella che ci fa temere di uscire dall’arte che esercitiamo.
Non v’è pittura, ne scultura, ne musica, ne poesia, non v’è che creazione!
Quindi se una composizione sente il bisogno di un ritmo speciale di movimento che aiuti o contrasti il ritmo fermato dell’INSIEME SCULTORIO (necessita’ dell’opera d’arte) si porta’ applicarvi un qualsiasi congegno che possa dare un movimento ritmico adeguato a dei piani o a delle linee.
Non possiamo dimenticare che il tic-tac o le sfere in moto di un orologio, che l’entrata o l’uscita di uno stantuffo in un cilindro, che l’aprirsi e il chiudersi di due ruote dentate con l’apparire e lo scomparire continuo dei loro rettangoletti d’acciaio, che la furia di un volante, o il turbine di un’elica sono tutti elementi plastici e pittorici di cui un’opera scultorea futurista deve avvalersi.
L’aprirsi e il richiudersi di una valvola crea un ritmo altrettanto bello ma infinitamente più nuovo di quello d’una palpebra animale.

CONCLUSIONI
1) Proclamare che la scultura si prefigge la ricostruzione astratta dei piani e dei volumi che determinano le forme, non il loro valore figurativo.
2) Abolire in scultura come in qualsiasi altra arte il sublime tradizionale dei soggetti
3) Negare nella scultura qualsiasi scopo di costruzione episodica veristica, ma affermare la necessita’ assoluta di servirsi di tutte le realtà per tornare agli elementi essenziali della sensibilità plastica. Quindi percependo i corpi e le loro parti come ZONE PLASTICHE, avremo in una composizione scultoria futurista, piani di legno o di metallo, immobili o meccanicamente mobili, per un oggetto forme sferiche, pelose per i capelli, semicerchi di vetro per un vaso, fili di ferro e reticolati per un piano atmosferico, ecc.
4) Distruggere la nobiltà tutta letteraria del marmo e del bronzo.
Negare l’esclusività di una materia per l’intera costruzione di un insieme scultorio.
Affermare che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola sfera allo scopo di un’emozione plastica.
Ne numeriamo alcune: vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica, ecc.
5) Proclamare che nell’intersezione dei piani di un libro con gli angoli singoli di una tavola, nelle rette di un fiammifero, nel telaio d’una finestra, v’è più verità che in tutti i grovigli
di muscoli, in tutti i seni e in tutte le fatiche di eroi o di veneri che ispirano la moderna idiozia scultoria.
6) Che solo una modernissima scelta di soggetti porta’ portare alla scoperta di nuove idee plastiche.
7) Che la linea retta è il solo mezzo che possa portare alla verginità primitiva di una nuova costruzione architettonica delle masse o zone scultorie.
otto) Che non vi può essere rinnovamento se non attraverso la SCULTURA D’AMBIENTE, precè con essa la plastica si sviluppare’, prolungandosi porta’ MODELLARE L’ATMOSFERA che circonda le cose.
9) La cosa che si crea non è che il ponte tra l’INFINITO PLASTICO ESTERIORE e l’INFINITO PLASTICO INTERIORE, quindi gli oggetti non finiscono mai e si intersecano con infinite combinazioni di simpatia e urti di avversione.
10) Bisogna distruggere il nudo sistematico, il concetto tradizionale della statua e del monumento.
11) Rifiutare coraggiosamente qualsiasi lavoro a qualsiasi prezzo, che non abbia in sè una pura costruzione di elementi plastici completamente rinnovati.

L’architettura futurista

Dal manifesto di Sant’Elia – 11 luglio 1914

Il problema dell’architettura futurista non è un problema di rimaneggiamento lineare.
Non si tratta di trovare nuove sagome, nuove marginature di finestre o di porte, di sostituire colonne, pilastri e mensole con cariatidi, mosconi o rane, non si tratta di lasciare la facciata a mattone nudo, o di intonacarla o rivestirla di pietra, ne di determinare differenze formali tra l’edificio nuovo e quello vecchio; ma di creare di sana pianta la casa futurista, di costruirla con ogni risorsa della scienza e della tecnica, appagando signorilmente ogni esigenza del nostro costume e del nostro spirito, calpestando quanto è grottesco, pesante, antiestetico con noi (tradizione, stile estetico, proporzione) determinando nuove forme, nuove linee, una nuova armonia di profili e di volumi, un’architettura che abbia la sua ragione d’essere solo nelle condizioni speciali della vita moderna, e la sua rispondenza come valore estetico nella nostra sensibilità.
Questa architettura non può essere soggetta ad alcuna legge di continuati’ storica.
Deve essere nuova come è nuovo il nostro stato d’animo.
L’architettura si stacca dalla tradizione
Il calcolo sulla resistenza dei materiali, l’uso del cemento armato e del ferro escludono “l’architettura” intesa nel senso classico e tradizionale.
I materiali moderni da costruzione e le nostre nozioni scientifiche, non si prestano assolutamente alla disciplina degli stili storici e sono la causa principale dell’aspetto grottesco delle nostre costruzioni “alla moda”, nelle quali si vorrebbe ottenere dalla leggerezza, dalla snellezza superba e dalla fragilità del cemento armato, la curva pesante dell’arco e l’aspetto massiccio del marmo.
Abbiamo perduto il senso del monumentale, del pesante, dello statico ed abbiamo arricchito la nostra sensibilità del giusto, del leggero, del pratico, dell’effimero, del veloce.
Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca.
Gli ascensori non devono rincantucciarsi come vermi solitari nei vani delle scale, ma le scale, divenute inutili, devono essere abolite, e gli ascensori devono inerpicarsi, come serpenti di ferro e di vetro, lungo le facciate.
La casa di cemento, di vetro, di ferro, senza pittura e senza scultura, ricca soltanto della bellezza congenita alle sue linee e ai suoi rilievi, straordinariamente “brutta” nella sua meccanica semplicità, alta e larga quanto è necessario e non quanto è prescritto dalla legge municipale, deve sorgere sull’orlo di un abisso tumultuante: la strada la quale non si stenderà come un soppedaneo al livello delle portinerie, ma si sprofondera’ nella terra per parecchi piani, che accoglieranno il traffico metropolitano e saranno congiunti, per i transiti necessari, da passerelle metalliche e velocissimi tapis roulants.
BISOGNA ABOLIRE IL DECORATIVO.
Bisogna risolvere il problema dell’architettura futurista non più rubacchiando da fotografie della Cina, della Persia e del Giappone, non più imbecillendo sulla tecnica.
Tutto deve essere rivoluzionato.
Bisogna sfruttare i tetti, utilizzare i sotterranei, diminuire l’importanza delle facciate, trapiantare i problemi del buon gusto dal camino della sagometta, del portoncino, in quello più ampio dei grandi aggruppamenti di masse, della vasta disposizione delle piante.
Finiamola con l’architettura monumentale, funebre, commemorativa.
Buttiamo all’aria monumenti, marciapiedi, porticati, gradinate, sprofondiamo le strade e le piazze, innalziamo il livello della città.

IO COMBATTO E DISPREZZO
1) Tutta la pseudo – architettura d’avanguardia austriaca, ungherese, tedesca e americana.
2) Tutta l’architettura classica, solenne, scenografica, decorativa, monumentale, leggiadra, piacevole.
3) L’imbalsamazione, la ricostruzione, la riproduzione dei monumenti e dei palazzi antichi.
4) Le linee perpendicolari e orizzontali; le forme cubiche e piramidali che sono statiche, gravi, opprimenti ed assolutamente fuori della nostra nuovissima sensibilità.
5) L’uso di materiali voluminosi, massicci, duraturi, antiquati, costosi.
E PROCLAMO:
1) Che l’architettura futurista è l’architettura del calcolo dell’audacia temeraria e della semplicità, l’architettura del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati al legno, alla pietra e al mattone che permettono di ottenere il massimo dell’elasticità e della leggerezza.
2) Che l’architettura futurista non è per questo un’arida combinazione di partitica’ e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi, espressione.
3) Che le linee oblique e quelle elettriche sono dinamiche, per la loro stessa natura hanno una potenza emotiva alle volte superiori a quelle perpendicolari e orizzontali, e che non vi può essere un’architettura dinamicamente integratrice all’infuori di esse.
4) Che la decorazione, come qualcosa di sovrapposto all’architettura è un assurdo, e che soltanto dall’uso e dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato dipende il valore decorativo dell’architettura futurista.
5) Che, come gli antichi trassero l’ispirazione dagli elementi della natura, noi materialmente e spiritualmente artificiali dobbiamo trovare quell’ispirazione negli elementi del mondo meccanico che abbiamo creato e di cui l’architettura deve essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l’integrazione artistica più efficace.
6) Che l’architettura come arte di disporre le forme degli edifici secondo criteri prestabiliti è finita.
7) Per architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare con libertà e con grande audacia l’ambiente con l’uomo, cioè rendere il mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito.
otto) Da un’architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica o lineare, perché i caratteri fondamentali dell’architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà.

LE CASE DURERANNO MENO DI NOI.
OGNI GENERAZIONE DOVRA’ FABBRICARSI LA SUA CITTÀ.

Il Manifesto dei Musicisti Futuristi

11 gennaio 1911
B. Pratella

Io mi rivolgo ai giovani. Essi soli mi dovranno ascoltare e mi potranno comprendere. C’è chi nasce vecchio, spettro bavoso del passato, crittogama tumida di veleni: a costoro,non parole, né idee, ma una imposizione unica: fine.
Io mi rivolgo ai giovani, necessariamente assetati di cose nuove, presenti e vive. Mi seguano dunque essi, fidenti e arditi, per le vie del futuro, dove già i miei, i nostri intrepidi fratelli, poeti e pittori futuristi, gloriosamente ci precedono,belli di violenza, audaci di ribellione e luminosi di genio animatore.
Or è un anno, una commissione composta dei maestri Pietro Mascagni, Giacomo Orefice, Guglielmo Mattioli,Rodolfo Ferrari e del critico Gian Battista Nappi, proclamava la mia opera musicale futurista intitolata La Sina d’Vargöun – su un poema pure mio ed in versi liberi – vincitrice, fra tutte le altre concorrenti, del premio di L. 10.000 destinato alle spese di esecuzione del lavoro riconosciuto superiore e degno, secondo il lascito del bolognese Cincinnato Baruzzi.
L’esecuzione avvenuta nel dicembre 1909 nel Teatro Comunale di Bologna, mi procurò un successo di grande entusiasmo, critiche abiette e stupide, generose difese di amici e di sconosciuti, onore e copia di nemici.
Essendo entrato, così trionfalmente, nell’ambiente musicale italiano, in contatto col pubblico, cogli editori e coi critici, ho potuto giudicare con la massima serenità il mediocrismo intellettuale, la bassezza mercantile e il misoneismo che riducono la musica italiana ad una forma unica e quasi invariabile di melodramma volgare, da cui risulta l’assoluta inferiorità nostra di fronte all’evoluzione futurista della musica negli altri paesi.
In Germania infatti, dopo l’era gloriosa e rivoluzionaria dominata dal genio sublime di Wagner, Riccardo Strauss eleva il barocchismo della strumentazione fin quasi a forma vitale d’arte, e sebbene non possa nascondere, con maniere armoniche ed acustiche abili, complicate ed appariscenti, l’aridità, il mercantilismo e la banalità dell’anima sua, nondimeno si sforza di combattere e di superare il passato con un ingegno innovatore.
In Francia, Claudio Debussy, artista profondamente soggettivo, letterato più che musicista, nuota in un lago diafano e tranquillo di armonie tenui, delicate, azzurre e costantemente trasparenti. Col simbolismo strumentale e con una polifonia monotona di sensazioni armoniche sentite attraverso una scala di toni intersistema nuovo, ma sempre sistema, e, di conseguenza, volontaria limitazione egli non giunge sempre a coprire la scarsità di valore della sua tematica e ritmica unilaterali e la mancanza quasi assoluta di svolgimento ideologico. Questo svolgimento consiste per lui nella primitiva e infantile ripetizione periodica di un tema breve e povero o di un andamento ritmico monotono e vago. Avendo ricorso, nelle sue formole operistiche ai concetti stantii della Camerata fiorentina, che nel 1600 dava nascita al melodramma, non è ancora pervenuto a riformare completamente l’arte melodrammatica del suo paese. Nondimeno, più d’ogni altro egli combatte gagliardamente il passato e in molti punti lo supera. Idealmente più forte di lui, ma musicalmente inferiore è G.Charpentier.
In Inghilterra, Edoardo Elgar, coll’animo di ampliare le forme sinfoniche classiche, tentando maniere di svolgimento tematico più ricche e multiformi variazioni di uno stesso soggetto, e cercando non nella varietà esuberante degli strumenti, ma nella varietà delle loro combinazioni effetti equilibrati e consoni alla nostra complessa sensibilità, coopera alla distruzione del passato.
In Russia, Modesto Mussorgski, rinnovato attraverso l’anima di Nicolò Rimsky-Korsakoff, coll’innestare l’elemento nazionale primitivo nelle formule ereditate da altri e col cercare verità drammatica e libertà armonica, abbandona e fa dimenticare la tradizione. Così procede anche Alessandro Glazounow, pur rimanendo ancora primitivo e lontano da una pura ed equilibrata concezione d’arte.
In Finlandia e nella Svezia, pure attraverso l’elemento musicale e poetico nazionale, si alimentano tendenze innovatrici, e le opere di Sibelius ne danno conferma.
E in Italia?
Insidia ai giovani e all’arte, vegetano licei, conservatori ed accademie, musicali. – In questi vivai dell’impotenza, maestri, e professori, illustri deficienze, perpetuano il tradizionalismo e combattono ogni sforzo per allargare il campo musicale.
Da ciò repressione prudente e costringimento di ogni tendenza libera e audace; mortificazione costante della intelligenza impetuosa; appoggio incondizionato alla mediocrità che sa copiare e incensare; prostituzione delle grandi glorie musicali del passato, quali armi insidiose di offesa contro il genio nascente; limitazione dello studio ad un vano acrobatismo che si dibatte nella perpetua agonia di una coltura arretrata e già morta.
I giovani ingegni musicali che stagnano nei conservatori hanno fissi gli occhi sull’affascinante miraggio dell’opera teatrale sotto la tutela dei grandi editori. La maggior parte la conduce a termine male e peggio, per mancanza di basi ideali e tecniche; pochissimi arrivano a vedersela rappresentata, e di costoro i più sborsando del denaro, per conseguire successi pagati ed effimeri o tolleranza cortese.
La sinfonia pura, ultimo rifugio, accoglie gli operisti mancati, i quali, a loro discolpa, predicano la fine del melodramma come forma assurda e antimusicale. Essi d’altra parte confermano la tradizionale accusa di non essere gli italiani nati per la sinfonia, dimostrandosi inetti anche in questo nobilissimo e vitale genere di composizione. La causa del loro doppio fallimento è unica, e da non ricercarsi nelle innocentissime e non mai abbastanza calunniate forme melodrammatiche e sinfoniche, ma nella loro impotenza.
Essi si valgono, nella loro ascensione, di quella solenne turlupinatura che si chiama musica fatta bene, falsificazione dell’altra vera e grande, copia senza valore venduta ad un pubblico che si lascia ingannare per volontà propria.
Ma i rari fortunati che attraverso a tutte le rinunzie sono riusciti ad ottenere la protezione dei grandi editori, ai quali vengono legati da contratti-capestro, illusori ed umilianti, rappresentano la classe dei servi, degli imbelli, dei volontariamente venduti.
I grandi editori mercanti imperano; assegnano limiti commerciali alle forme melodrammatiche, proclamando, quali modelli da non doversi superare ed insuperabili, le opere basse, rachitiche e volgari di Giacomo Puccini e di Umberto Giordano.
Gli editori pagano poeti perché sciupino tempo ed intelligenza a fabbricare e ad ammannire secondo le ricette di quel grottesco pasticciere che si chiama Luigi Illica quella fetida torta a cui si dà il nome di libretto d’opera.
Gli editori scartano qualsiasi opera che per combinazione sorpassi la mediocrità; col monopolio diffondono e sfruttano la loro merce e ne difendono il campo d’azione da ogni temuto tentativo di ribellione.
Gli editori assumono la tutela ed il privilegio dei gusti del pubblico, e colla complicità della critica, rievocano, quali esempio o monito, tra le lagrime e la commozione generale, il preteso nostro monopolio della melodia e del bel canto e il non mai abbastanza esaltato melodramma italiano, pesante e soffocante gozzo della nazione.
Unico Pietro Mascagni, creatura di editore, ha avuto anima e potere di ribellarsi a tradizioni d’arte, a editori, a pubblico ingannato e viziato. Egli, con l’esempio personale, primo e solo in Italia, ha svelato le vergogne dei monopolii editoriali e la venalità della critica, ed ha affrettata l’ora della nostra liberazione dallo czarismo mercantile e dilettantesco nella musica. Con molta genialità Pietro Mascagni ha avuto dei veri tentativi d’innovazione nella parte armonica e nella parte lirica del melodramma, pur non giungendo ancora a liberarsi dalle forme tradizionali.
L’onta e il fango che io ho denunziato in sintesi rappresentano fedelmente il passato dell’Italia nei suoi rapporti con l’arte e coi costumi dell’oggi: industria dei morti, culto dei cimiteri, inaridimento delle sorgenti vitali.
Il Futurismo, ribellione della vita della intuizione e del sentimento, primavera fremente ed impetuosa, dichiara guerra inesorabile alla dottrina, all’individuo e all’opera che ripeta, prolunghi o esalti il passato a danno del futuro. Esso proclama la conquista della libertà amorale di azione, di coscienza e di concepimento; proclama che Arte è disinteresse, eroismo, disprezzo dei facili successi.
Io dispiego all’aria libera e al sole la rossa bandiera del Futurismo, chiamando sotto il suo simbolo fiammeggiante quanti giovani compositori abbiano cuore per amare e per combattere, mente per concepire, fronte immune da viltà. Ed urlo la gioia di sentirmi sciolto da ogni vincolo di tradizione, di dubbi, d’opportunismo e di vanità.
Io che ripudio il titolo di maestro, come marchio di uguaglianza nella mediocrità e nell’ignoranza, confermo qui la mia entusiastica adesione al Futurismo, porgendo ai giovani, agli arditi, ai temerari, queste mie irrevocabili
CONCLUSIONI
1. Convincere i giovani compositori a disertare licei,conservatori e accademie musicali, e a considerare lo studio libero come unico mezzo di rigenerazione.
2. Combattere con assiduo disprezzo i critici, fatalmente venali e ignoranti, liberando il pubblico dall’influenza malefica dei loro scritti. Fondare a questo scopo una rivista musicale indipendente e risolutamente avversa ai criteri dei professori di conservatorio e a quelli avviliti del pubblico.
3. Astenersi dal partecipare a qualunque concorso con le solite buste chiuse e le relative tasse d’ammissione, denunziandone pubblicamente le mistificazioni e svelando la incompetenza delle giurie, generalmente composte di cretini e di rammolliti.
4. Tenersi lontani dagli ambienti commerciali o accademici, disprezzandoli, e preferendo vita modesta a lauti guadagni per i quali l’arte si dovesse vendere.
5. Liberare la propria sensibilità musicale da ogni imitazione o influenza del passato, sentire e cantare con l’anima rivolta all’avvenire, attingendo ispirazione ed estetica dalla natura, attraverso tutti i suoi fenomeni presenti umani ed extraumani; esaltare l’uomo-simbolo rinnovantesi perennemente nei vari aspetti della vita moderna e nelle infinite sue relazioni intime con la natura.
6. Distruggere il pregiudizio della musica “fatta bene” – retorica ed impotenza – proclamare un concetto unico di musica futurista, cioè assolutamente diversa da quella fatta finora. Formare così in Italia un gusto musicale futurista, e distruggere i valori dottrinari, accademici e soporiferi, dichiarando odiosa, stupida e vile la frase:.”Torniamo all’antico”.
7. Proclamare che il regno del cantante deve finire e che l’importanza del cantante rispetto all’opera d’arte corrisponde all’importanza di uno strumento dell’orchestra.
otto. Trasformare il titolo ed il valore di “libretto d’opera” nel titolo e valore di “poema drammatico o tragico per la musica” sostituendo alle metriche il verso libero. Ogni operista d’altronde, deve assolutamente e necessariamente essere autore del proprio poema.
9. Combattere categoricamente le ricostruzioni storiche e l’allestimento scenico tradizionale e dichiarare stupido il disprezzo che si ha pel costume contemporaneo.
10. Combattere le romanze del genere Tosti e Costa, le stomachevoli canzonette napoletane e la musica sacra, che non avendo più alcuna ragione di essere, dato il fallimento della fede, è diventata monopolio esclusivo d’impotenti direttori di conservatorio e di qualche prete incompleto.
11. Provocare nei pubblici una ostilità sempre crescente contro le esumazioni di opere vecchie che vietano l’apparizione dei maestri novatori, ed appoggiare invece ed esaltare tutto ciò che in musica appaia originale e rivoluzionario, ritenendo un onore l’ingiuria e l’ironia dei moribondi e degli opportunisti.
Ed ora la reazione dei passatisti mi si riversi pure addosso con tutte le sue furie. Io serenamente rido e me ne infischio: sono asceso oltre il passato, e chiamo ad alta voce i giovani musicisti intorno alla bandiera del Futurismo che, lanciato dal poeta Marinetti nel “Figaro” di Parigi, ha conquistato in breve volgere di tempo i massimi centri intellettuali del mondo.

L’arte dei rumori

11 marzo 1913
Luigi Russolo

Caro Balilla Pratella, grande musicista futurista,
A Roma, nel Teatro Costanzi affollatissimo, mentre coi miei amici futuristi Marinetti, Boccioni, Carrà, Balla, Soffici, Papini, Cavacchioli, ascoltavo l’esecuzione orchestrale della tua travolgente Musica futurista.mi apparve alla mente una nuova arte che tu solo puoi creare: l’Arte dei Rumori, logica conseguenza delle tue meravigliose innovazioni. La vita antica fu tutta silenzio. Nel diciannovesimo secolo, coll’invenzione delle macchine, nacque il Rumore. Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli uomini. Per molti secoli la vita si svolse in silenzio, o, per lo più, in sordina. I rumori più forti che interrompevano questo silenzio non erano nè intensi, né prolungati, né variati. Poiché, se trascuriamo gli eccezionali movimenti tellurici, gli uragani, le tempeste, le valanghe e le cascate, la natura è silenziosa.
In questa scarsità di rumori, i primi suoni che l’uomo poté trarre da una canna forata o da una corda tesa, stupirono come cose nuove e mirabili. Il suono fu dai popoli primitivi attribuito agli dèi, considerato come sacro e riservato ai sacerdoti, che se ne servirono per arricchire di mistero i loro riti. Nacque così la concezione del suono come cosa a sé, diversa e indipendente dalla vita, e ne risultò la musica, mondo fantastico sovrapposto al reale, mondo inviolabile e sacro. Si comprende facilmente come una simile concezione della musica dovesse necessariamente rallentarne il progresso, a paragone delle altre arti. I Greci stessi, con la loro teoria musicale matematicamente sistemata da Pitagora, e in base alla quale era ammesso soltanto l’uso di pochi intervalli consonanti, hanno molto limitato il campo della musica, rendendo così impossibile l’armonia, che ignoravano.
Il Medio Evo, con gli sviluppi e le modificazioni del sistema greco del tetracordo, col canto gregoriano e coi canti popolari, arricchì l’arte musicale, ma continuò a considerare il suono nel suo svolgersi nel tempo, concezione ristretta che durò per parecchi secoli e che ritroviamo ancora nelle più complicate polifonie dei contrappuntisti fiamminghi. Non esisteva l’accordo; lo sviluppo delle parti diverse non era subordinato all’accordo che queste parti potevano produrre nel loro insieme; la concezione, infine, di queste parti era orizzontale, non verticale. Il desiderio, la ricerca e il gusto per l’unione simultanea dei diversi suoni, cioè per l’accordo (suono complesso) si manifestarono gradatamente, passando dall’accordo perfetto assonante e con poche dissonanze di passaggio alle complicate e persistenti dissonanze che caratterizzano la musica contemporanea.
L’arte musicale ricercò ed ottenne dapprima la purezza, la limpidezza e la dolcezza del suono, indi amalgamò suoni diversi, preoccupandosi però di accarezzare l’orecchio con soavi armonie. Oggi l’arte musicale, complicandosi sempre più, ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’oreccbio. Ci avviciniamo così sempre più al suono-rumore.
Questa evoluzione delta musica è parallela al moltiplicarsi delle macchine, che collaborano dovunque coll’uomo. Non soltanto nelle atmosfere fragorose delle grandi città, ma anche nelle campagne, che furono fino a ieri normalmente silenziose, la macchina ha oggi creato tanta varietà e concorrenza di rumori, che il suono puro, nella sua esiguità e monotonia, non suscita più emozione. Per eccitare ed esaltare la nostra sensibilità, la musica andò sviluppandosi verso la più complessa polifonia e verso la maggior varietà di timbri o coloriti strumentali, ricercando le più complicate successioni di accordi dissonanti e preparando vagamente la creazione del rumore musicale. Questa evoluzione verso il “suono rumore” non era possibile prima d’ora. L’orecchio di un uomo del settecento non avrebbe potuto sopportare l’intensità disarmonica di certi accordi prodotti dalle nostre orecchie(triplicate nel numero degli esecutori rispetto a quelle di allora). Il nostro orecchio invece se ne compiace, poiché fu già educato dalla vita moderna, così prodiga di rumori svariati. Il nostro orecchio però se ne accontenta, e reclama più ampie emozioni acustiche. D’altra parte, il suono musicale è troppo limitato nella varietà qualitativa dei timbri. Le più complicate orchestre si riducono a quattro o cinque classi di strumenti ad arco, a pizzico, a fiato in metallo, a fiato in legno, a percussione. Cosicché la musica moderna si dibatte in questo piccolo cerchio, sforzandosi vanamente di creare nuove varietà di timbri. Bisogna rompere questo cerchio ristretto di suoni puri e conquistare la varietà infinita dei “suoni-rumori”.
Ognuno riconoscerà d’altronde che ogni suono porta con sé un viluppo di sensazioni già note e sciupate, che predispongono l’ascoltatore alla noia, malgrado gli sforzi di tutti i musicisti novatori. Noi futuristi abbiamo tutti profondamente amato e gustato le armonie dei grandi maestri. Beethoven e Wagner ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti anni. Ora ne siamo sazi e godiamo molto più nel combinare idealmente dei rumori di tram, di motori a scoppio, di carrozze e di folle vocianti, che nel riudire, per esempio, l'”Eroica” o là “Pastorale”. Non possiamo vedere quell’enorme apparato di forze che rappresenta un’orchestra moderna senza provare la più profonda delusione davanti ai suoi meschini risultati acustici. Conoscete voi spettacolo più ridicolo di venti uomini che s’accaniscono a raddoppiare il miagolìo di un violino? Tutto ciò farà naturalmente strillare i musicomani e risveglierà forse l’atmosfera assonnata delle sale di concerti. Entriamo insieme, da futuristi, in uno di questi ospedali di suoni anemici. Ecco: la prima battuta vi reca subito all’orecchio la noia del già udito e vi fa pregustare la noia della battuta che seguirà. Centelliniamo così, di battuta in battuta, due o tre qualità di noie schiette aspettando sempre la sensazione straordinaria che non viene mai. Intanto si opera una miscela ripugnante formata dalla monotonia delle sensazioni e dalla cretinesca commozione religiosa degli ascoltatori buddisticamente ebbri di ripetere per la millesima volta la loro estasi più o meno snobbbistica ed imparata. Via! Usciamo, poiché non potremmo a lungo frenare in noi il desiderio di creare finalmente una nuova realtà musicale, con un ampia di ceffoni sonori, saltando a piè pari violini, pianoforti, contrabbassi ed organi gemebondi. Usciamo! Non si potrà obbiettare che il rumore sia soltanto forte e sgradevole all’orecchio. Mi sembra inutile enumerare tutti i rumori tenui e delicati, che dànno sensazioni acustiche piacevoli. Per convincersi poi della varietà sorprendente dei rumori, basta pensare al rombo del tuono, ai sibili del vento, allo scrosciare di una cascata, al gorgogliare d’un ruscello, ai fruscii delle foglie, al trotto d’un cavallo che s’allontana, ai sussulti traballanti d’un carro sul selciato e alla respirazione ampia, solenne e bianca di una città notturna, a tutti i rumori che fanno le belve e gli animali domestici. e a tutti quelli che può fare la bocca dell’uomo senza parlare o cantare.
Attraversiamo una grande capitale moderna, con le orecchie più attente che gli occhi, e godremo nel distinguere i risucchi d’acqua, d’aria o di gas nei tubi metallici, il borbottio dei motori che fiatano e pulsano con una indiscutibile animalità, il palpitare delle valvole, l’andirivieni degli stantuffi, gli stridori delle seghe meccaniche, i balzi dei tram sulle rotaie, lo schioccar delle fruste, il garrire delle tende e delle bandiere. Ci divertiremo ad orchestrare idealmente insieme il fragore delle saracinesche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusio e lo scalpiccìo delle folle, i diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee.
Né bisogna dimenticare i rumori nuovissimi della guerra moderna. Recentemente il poeta Marinetti, in una sua lettera dalle trincee bulgare di Adrianopoli, mi descriveva con mirabile stile futurista l’orchestra di una grande battaglia:
”Ogni 5 secondi cannoni da assedio sventrare spazio con un accordo TAM-TUUMB ammutinamento di 500 echi per azzannarlo sminuzzarlo sparpagliarlo all’infinito. Nel centro di quei TAM-TUUMB spiaccicati ampiezza 50 chilometri quadrati balzare scoppi tagli pugni batterie a tiro rapido Violenza ferocia regolarità questo basso grave scandere gli strani folli agitatissimi acuti della battaglia Furia affanno orecchie occhi narici aperti! attenti! forza! che gioia vedere udire fiutare tutto tutto taratatatata delle mitragliatrici strillare a perdifiato sotto morsi schiaffi traak-traak frustate pic-pac-pum-tumb bizzarie salti altezza 200 metri della fucileria Giù giù in fondo all’orchestra stagni diguazzare buoi bufali pungoli carri pluff plaff impennarsi di cavalli flic flac zing zing sciaaack ilari nitriti ììììì…. scalpicii tintinnii 3 battaglioni bulgari in marcia croooc-craaac (lento due tempi) Sciumi Maritza o Karvavena croooc-craaac grida degli ufficiali sbatacchiare come piatti d’ottone pan di qua paack di là cing BUUM cing ciak (presto) ciaciacia-ciaciaak su giù là là intorno in alto attenzione sulla testa ciaack bello! Vampe vampe vampe vampe vampe vampe ribalta dei forti laggiù dietro quel fumo Sciukri Pascià comunica te/efonicamente con 27 forti in turco in tedesco allò! Ibrahim! Rudolf! allò allò! attori ruoli echi suggeritori scenari di fumo foreste applausi odore di fieno fango sterco non sento più i miei piedi gelati odore di salnitro odore di marcio Timpani flauti clarini dovunque basso alto uccelli cinguettare beatitudine ombrie cip-cip-cip brezza verde mandre don-dan-don-din-bèéè Orchestra i pazzi bastonano i professori d’orchestra questi bastonatissimi suonare suonare Grandi fragori non cancellare precisare ritagliandoti rumori più piccoli minutissimi rottami di echi nel teatro ampiezza 300 chilometri quadrati Fiumi Maritza Tungia sdraiati Monti Ròdopi ritti alture palchi loggione 20.000 shapnels sbracciarsi esplodere fazzoletti bianchissimi pieni d’oro TUM- TUMB 20 000 granate protese strappare con schianti capigliature nerissime ZANG-TUMB-ZANG-TUMB-TUUMB l’orchestra dei rumori di guerra gonfiarsi sotto una nota di silenzio tenuta nell’alto cielo pallone sferico dorato che sorveglia i tiri”.
Noi vogliamo intonare e regolare armonicamente e ritmicamente questi svariatissimi rumori .Intonare i rumori non vuol dire togliere ad essi tutti i movimenti e le vibrazioni irregolari di tempo e d’intensità, ma bensì dare un grado o tono alla più forte e predominante di queste vibrazioni. Il rumore infatti si differenzia dal suono solo in quanto le vibrazioni che lo producono sono confuse ed irregolari, sia nel tempo che nella intensità. Ogni rumore ha un tono, talora anche un accordo che predomina nell’insieme delle sue vibrazioni irregolari. Ora, da questo caratteristico tono predominante deriva la possibilità pratica di intonarlo, di dare cioè ad un dato rumore non un solo tono ma una certa varietà di toni, senza perdere la sua caratteristica, voglio dire il timbro che lo distingue. Così alcuni rumori ottenuti con un movimento rotativo possono offrire un’intera scala cromatica ascendente o discendente, se si aumenta o diminuisce la velocità del movimento. Ogni manifestazione della nostra vita è accompagnata dal rumore. Il rumore è quindi famigliare al nostro orecchio, ed ha il potere di richiamarci immediatamente alla vita stessa. Mentre il suono estraneo alla vita, sempre musicale, cosa a sé, elemento occasionale non necessario, è divenuto ormai per il nostro orecchio quello che all’occhio è un viso troppo noto, il rumore invece, giungendoci confuso e irregolare dalla confusione irregolare della vita, non si rivela mai interamente a noi e ci serba innumerevoli sorprese. Siamo certi dunque che scegliendo, coordinando e dominando tutti
rumori, noi arricchiremo gli uomini di una nuova voluttà insospettata. Benché la caratteristica del rumore sia di richiama brutalmente alla vita, l’arte dei rumori non deve limitarsi ad una riproduzione imitativa. Essa attingerà la sua maggiore facoltà di emozione nel godimento acustico in se stesso, che l’ispirazione dell’artista saprà trarre dai rumori combinati.
Ecco le 6 famiglie di rumori dell’orchestra futurista che attueremo presto, meccanicamente:

1. – Rombi, Tuoni, Scoppi, Scrosci, Tonfi, Boati.
2. – Fischi, Sibili, Sbuffi.
3. – Bisbigli, Mormorii, Borbottii, Brusii, Gorgoglii.
4. – Stridori, Scricchiolii, Fruscii, Ronzìì, Crepitii, Stropiccìì.
5. – Rumori ottenuti a percussione su metalli, legni, pelli, pietre, terrecotte, ecc..
6. – Voci di animali e di uomini: Gridi, Strilli, Gemiti, Urla, Ululati, Risate, Rantoli, Singhiozzi.
In questo elenco abbiamo racchiuso i più caratteristici fra i rumori fondamentali; gli altri non sono che le associazioni e le combinazioni di questi. I movimenti ritmici di un rumore sono infiniti. Esiste sempre come per il tono, un ritmo predominante, ma attorno a questo altri numerosi ritmi secondari sono pure sensibili.

CONCLUSIONI:
1. – I musicisti futuristi devono allargare ed arricchire sempre di più il campo dei suoni.
Ciò risponde a un bisogno della nostra sensibilità. Notiamo infatti nei compositori geniali d’oggi una tendenza verso le più complicate dissonanze. Essi, allontanandosi sempre più dal suono puro, giungono quasi al suono-rumore. Questo bisogno e questa tendenza non potranno essere soddisfatti che coll’aggiunta e la sostituzione dei rumori ai suoni.
2. – I musicisti futuristi devono sostituire alla limitata varietà dei timbri degl’ istrumenti che l’orchestra possiede oggi, l’infinita varietà di timbri dei rumori, riprodotti con appositi meccanismi.
3. – Bisogna che la sensibilità del musicista, liberandosi dal ritmo facile e tradizionale, trovi nei rumori il modo di ampliarsi e rinnovarsi, dato che ogni rumore offre l’unione dei ritmi più diversi, oltre a quello predominante.
4. – Ogni rumore avendo nelle sue vibrazioni irregolari un tono generale predominante, si otterrà facilmente nella costruzione degli strumenti che lo imitano una varietà sufficientemente estesa di toni, semitoni e quarti di toni. Questa varietà di toni non toglierà a ogni singolo rumore le caratteristiche del suo timbro, ma ne amplierà solo la tessitura o estensione.
5. – Le diffiicoltà pratiche per la costruzione di questi strumenti non sono gravi. Trovato il principio meccanico che dà un rumore, si potrà mutarne il tono regolandosi sulle leggi generali dell’acustica. Si procederà per esempio con la diminuzione o l’aumento della velocità, se lo strumento avrà un movimento rotativo, e con una varietà di grandezza o di tensione delle parti sonore, se lo strumento non avrà movimento rotativo.
6. – Non sarà mediante una successione di rumori imitativi della vita, bensì mediante una fantastica associazione di questi timbri vari e di questi ritmi vari, che la nuova orchestra otterrà le più complesse e nuove emozioni sonore. Perciò ogni strumento dovrà offrire la possibilità di mutare o no, e dovrà avere una più o meno grande estensione.
7. – La varietà dei rumori è infinita. Se oggi, mentre noi possediamo forse mille macchine diverse, possiamo distinguere mille rumori diversi, domani, col moltiplicarsi di nuove macchine, potremo distinguere dieci, venti o trentamila rumori diversi, non da imitare semplicemente, ma da combinare secondo la nostra fantasia.
otto. – Invitiamo dunque i giovani musicisti geniali e audaci ad osservare con attenzione continua tutti i rumori, per comprendere i vari ritmi che li compongono, il loro tono principale e quelli secondari. Paragonando poi i timbri vari dei rumori ai timbri dei suoni, si convinceranno di quanto i primi siano più numerosi dei secondi. Questo ci darà non solo la comprensione ma anche il gusto e la passione dei rumori. La nostra sensibilità moltiplicata, dopo essersi conquistati degli occhi futuristi avrà finalmente delle orecchie futuriste. Così i motori e le macchine delle nostre città industriali potranno un giorno essere sapientemente intonati, in modo da fare di ogni officina una inebbriante orchestra di rumori. Caro Pratella, io sottopongo al tuo genio futurista queste mie constatazioni, invitandoti alla discussione. Non sono musicista: non ho dunque predilezioni acustiche, né opere da difendere. Sono un pittore futurista che proietta fuori di sé in un’arte molto amata la sua volontà di rinnovare tutto. Perciò più temerario di quanto potrebbe esserlo un musicista di professione, non preoccupandomi delle mia apparente incompetenza, e convinto che l’audacia abbia tutti i diritti e tutte le possibilità, ho potuto intuire il grande rinnovamento della musica mediante l’Arte dei Rumori.

Il teatro futurista sintetico

(Marinetti, Settimelli, Corra)
11 gennaio-18 febbraio 1915
(Atecnico-dinamico-simultaneo-autonomo-alogico-irreale)

Aspettando la nostra grande guerra tanto invocata, noi futuristi alterniamo la nostra violentissima azione anti-neutrale nelle piazze e nelle Università, colla nostra azione artistica sulla sensibilità italiana.
Perchè l’Italia impari a decidersi fulmineamente, a slanciarsi, a sostenere ogni sforzo e ogni possibile sventura non occorrono libri e riviste. Queste interessano e occupano solo una minoranza; sono più o meno tediosi, ingombranti o rallentanti, non possono che raffreddare l’entusiasmo, troncare lo slancio e avvelenare di dubbi un mondo che si batte.
La guerra, futurismo intensificato, ci impone di marciare e di non marcire nelle biblioteche e nelle sale di lettura. NOI CREDIAMO DUNQUE CHE NON SI POSSA INFLUENZARE OGGI GUERRESCAMENTE L’ANIMA ITALIANA SE NON MEDIANTE IL TEATRO.
Noi condanniamo tutto il teatro contemporaneo, poiché è tutto prolisso, analitico, pedantemente psicologico, esplicativo, diluito, statico, pieno di divieti come una questura, diviso in celle come un monastero, ammuffito come una vecchia casa disabitata. È insomma un teatro pacifista, in antitesi colla velocità feroce, travolgente e sintetizzante della guerra.
Noi creiamo un teatro futurista sintetico cioè brevissimo. Stringere in pochi minuti, in poche parole, in pochi gesti innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti, simboli.
Gli scrittori che vollero rinnovare il teatro (Ibsen, Maeterlinck, Andrejeff, Paul Claudel, Bernard Shaw) non pensarono mai di giungere ad una vera sintesi, liberandosi dalla tecnica che implica prolissità, analisi meticolosa, lungaggine preparatoria.
Tutto questo teatro passatista o semi-futurista invece di sintetizzare fatti e idee nel minor numero di parole e gesti, distrusse bestialmente la varietà dei luoghi (fonte di stupore e dinamismo) insaccando molti paesaggi, piazze, strade nell’unico salame di una camera: cosicché questo teatro è tutto statico.
Siamo convinti che meccanicamente a forza di brevità si possa giungere ad un teatro completamente nuovo in perfetta armonia colla velocissima e laconica nostra sensibilità futurista.
I nostri atti potranno anche essere attimi e cioè durare pochi secondi.
Con questa brevità essenziale e sintetica il teatro potrà sostituire e anche vincere la concorrenza del CINEMATOGRAFO ATECNICO.

Il TEATRO PASSATISTA è la forma letteraria che più costringe la genialità dell’autore a deformarsi e a diminuirsi.

In esso molto più che nella lirica e nel romanzo imperano le esigenze della tecnica:
1) scartare ogni concezione che non rientri nel gusto del pubblico
2) trovata una concezione teatrale (esprimibile in poche parole) diluirla e diluirla in due, tre, quattro atti.
3) mettere intorno al personaggio che ci interessa molta gente che non c’entra affatto: macchiette, tipi bizzarri e altri rompiscatole.
4) fare in modo che la durata di ogni atto oscilli tra la mezz’ora e i tre quarti d’ora
5) costruire gli atti preoccupandosi di:
a) cominciare con sette o otto pagine assolutamente inutili
b) introdurre un decimo della concezione del primo atto, cinque decimi del secondo, quattro decimi del terzo
c) architettare gli atti in maniera ascendente, cosicché l’atto non sia che una preparazione del finale
d) fare senza riguardo il primo atto noiosetto, purché il secondo sia divertente ed il terzo divorante
6) appoggiare invariabilmente ogni battuta essenziale a un centinaio o più di battute insignificanti di preparazione.
7) non consacrare mai meno di una pagina a spiegare con esattezza un’entrata o un’uscita
otto) applicare sistematicamente la regola di una superficiale varieta’ all’interno del lavoro, agli atti, alle scene, alle battute, cioè per es. fare un atto di un giorno, uno di sera e uno nel cuor della notte. Fare un atto patetico, uno angoscioso e uno sublime; quando si è costretti a prolungare un colloquio a due fare accadere qualcosa che lo interrompa: un vaso che cade, una mandolinata che passa. Oppure far muovere costantemente le due persone, da sedute in piedi, da destra a sinistra e intanto variare il dialogo in modo che sembri ad ogni istante che qualche bomba debba scoppiare fuori, senza che in realtà scoppi mai niente sino alla fine dell’atto.
9) preoccuparsi enormemente della verosimiglianza dell’intreccio.
10) fare in modo che il pubblico debba sempre capire con la massima completezza il come e il perchè di ogni azione scenica e soprattutto sapere all’ultimo atto come vanno a finire i protagonisti.

Col nostro movimento sintetista nel teatro noi vogliamo distruggere la tecnica che dai Greci ad oggi, invece di semplificarsi è divenuta sempre più dogmatica, stupidamente logica, meticolosa, pedante,strangolatrice

DUNQUE
È STUPIDO scrivere 100 pagine dove ne basterebbe una sola, perchè il pubblico, per abitudine e per infantile istintivismo, vuol vedere il carattere di un personaggio risultare da una serie di fatti e ha bisogno di illudersi che il personaggio stesso esista realmente per ammirarne il valore d’arte, mentre non vuole ammettere questo valore se l’autore si limita a indicarlo con pochi tratti.
È STUPIDO non ribellarsi al pregiudizio della teatralità quando la vita stessa ( la quale è costituita da azioni infinitamente più impacciate, più regolate e più prevedibili di quelle che si svolgono nel campo dell’arte è in massima parte antiteatrale e offre anche in questa sua parte innumerevoli possibilità sceniche. TUTTO È TEATRALE QUANDO HA VALORE.
È STUPIDO soddisfare la primitiva’ delle folle che alla fine vogliono vedere esaltato il personaggio simpatico e sconfitto l’antipatico
È STUPIDO curarsi della verosimiglianza (assurdità, questa, poiché valore e genialità non coincidono affatto con essa)
È STUPIDO voler spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, quando anche nella vita non ci accade mai di afferrare un avvenimento interamente, con tutte le sue cause e conseguenze, perchè la realtà ci vibra attorno assalendoci con raffiche di frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri, confusi, aggrovigliati, caotizzati.
È STUPIDO sottostare alle imposizioni del crescendo, della preparazione e del massimo effetto alla fine.
È STUPIDO lasciare imporre alla propria genialità il peso di una tecnica che tutti (anche gli imbecilli) possono acquistare a furia di studio, di pratica e di pazienza.
È STUPIDO rinunziare al dinamico salto nel vuoto della creazione totale fuori da tutti i campi esplorati.
DINAMICO = SIMULTANEO, cioè nato dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall’attualità suggestionante e rivelatrice.
Noi crediamo che una cosa valga in quanto sia stata improvvisata (ore, minuti, secondi) e non preparata lungamente (mesi, anni, secoli) .
Noi abbiamo un’invincibile ripugnanza per il lavoro fatto a tavolino, a priori, senza tener conto dell’ambiente in cui dovrà essere rappresentato.

LA MAGGIOR PARTE DEI NOSTRI LAVORI SONO STATI SCRITTI IN TEATRO.
L’ambiente teatrale è per noi un serbatoio inesauribile di ispirazioni.
NOI OTTENIAMO UN DINAMISMO ASSOLUTO MEDIANTE LA COMPENETRAZIONE DI TEMPI E AMBIENTI DIVERSI.
AUTONOMO, ALOGICO, IRREALE = la sintesi teatrale futurista non sarà sottomessa alla logica, non conterrà nulla di fotografico, sarà autonoma, non somigliera’ che a se stessa pur traendo dalla realtà elementi da combinarsi a capriccio.
Anzitutto come per il pittore e per il musicista esiste sparpagliata nel mondo esteriore una vita più ristretta ma più intensa costituita da odori, forme, suoni e rumori, , così per l’uomo dotato di sensibilità teatrale esiste una realtà specializzata la quale assalta i nervi con violenza: essa è
costituita da ciò che si chiama MONDO TEATRALE.
Il teatro futurista nasce dalle due vitalissime correnti della sensibilità futurista precisate nei due manifesti:

IL TEATRO DI VARIETA’ e PESI, MISURE E PREZZI DEL GENIO ARTISTICO, che sono:
1) La nostra frenetica passione per la vita attuale, veloce, frammentaria, elegante, complicata, cinica, muscolosa, sfuggevole, futurista;
2) La nostra modernissima concezione cerebrale dell’arte secondo la quale nessuna logica, nessuna tradizione, nessuna estetica, nessuna tecnica, nessuna opportunità è impossibile alla genialità dell’artista che deve solo preoccuparsi di creare delle espressioni sintetiche di energia cerebrale le quali abbiano valore assoluto di novità.

CONCLUSIONI
1) Abolire totalmente la tecnica sotto cui muore il teatro passatista.
2) porre sulla scena tutte le scoperte (per quanto inverosimili, bizzarre o antiteatrali) che la nostra genialità va facendo sul sub-cosciente, nelle forze mal definite, nell’astrazione pura, nel cerebralismo puro, nella fantasia pura, nel record e nella fisico-follia.
3) Sintonizzare la sensibilità del pubblico esplorandone, risvegliandone con ogni mezzo le propaggini più pigre, eliminare il preconcetto della ribalta, lanciando delle reti di sensazioni tra palcoscenico e pubblico: l’azione scenica invaderà platea e spettatori.
4) Fraternizzare calorosamente coi comici, i quali sono tra i pochi pensatori che rifuggano da ogni deformante sforzo culturale.
5) Eliminare la farsa, il vaudeville, la pochade, la commedia, il dramma e la tragedia, per creare al loro posto le numerose forme del teatro futurista come: le battute in libertà, la simultaneità, la compenetrazione, il poemetto animato, la sensazione sceneggiata, l’ilarità dialogata, l’atto negativo, la battuta riecheggiata, la discussione extra logica, la deformazione sintetica, lo spiraglio scientifico.
6) Creare tra noi e la folla, mediante un contatto continuato una corrente di confidenza senza rispetto, così da trasfondere nei nostri pubblici la vivacità dinamica di una nuova teatralità futurista.
7) Abolire i tre o cinque atti per creare delle azioni teatrali di quindici, venti, venticinque sintesi, la cui durata sia ridotta ad un minuto o a pochi secondi, catene di sorprese suggestive con velocità accelerata senza psicologia nè preparazione logica.

La cinematografia futurista

dal manifesto di Marinetti, Bruno Corra, E. Settimelli, A.Ginna, G.Balla, R.Chiti – 11 settembre 1916

A prima vista il cinematografo, esistente da pochissimi anni, può gia’ sembrare futurista, cioè privo di passato e libero da tradizioni: in realtà esso, sorgendo come teatro senza parole, ha ereditato tutte le più tradizionali spazzature del teatro letterario.
Il cinematografo sino ad oggi è stato e tende a rimanere profondamente passatista, mentre noi vediamo in esso la possibilità di un’arte eminentemente futurista e il mezzo di espressione più adatto alla plurisensibilita’ di un artista futurista.
Il cinematografo è un’arte a se.
Il cinematografo non deve mai copiare il palcoscenico.
Il cinematografo essendo sostanzialmente visivo, deve compiere anzitutto l’evoluzione della pittura: staccarsi dalla realtà, dalla fotografia, dal grazioso e dal solenne.
Diventare antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero.
Occorre liberare il cinematografo come mezzo di espressione per farne lo strumento ideale di una nuova arte più vasta e più agile di tutte quelle esistenti.
Siamo convinti che solo attraverso di esso si potra’ raggiungere quella poliespressività verso la quale tendono tutte le più moderne ricerche artistiche.
Il cinematografo futurista crea oggi la sinfonia poliespressiva.
Nel film futurista entreranno come mezzi di espressione gli elementi più svariati: dal brano di vita reale, alla chiazza di colore, dalla linea alle parole in libertà, dalla musica cromatica e plastica alla musica di oggetti.
Esso Sarà insomma pittura, architettura, scultura, parole in libertà, musica di colori, linee e forme, accozzo di oggetti e realtà.
Offriamo nuove ispirazioni alle ricerche dei pittori i quali tenderanno a sforzare i limiti del quadro.
Metteremo in moto le parole in libertà che rompono i limiti della letteratura marciando attraverso la pittura, la musica, l’arte dei rumori, gettando un meraviglioso ponte tra la parola e l’oggetto reale.

I nostri film saranno:
1) Analogie cinematografate, usando la realtà direttamente con uno dei due elementi dell’analogia.
I monti, i mari, i boschi, le città e le folle, gli eserciti, le squadre, gli aeroplani saranno spesso le nostre parole formidabilmente espressive.
L’universo Sarà il nostro vocabolario.
2) Poemi, discorsi e poesie cinematografati.
Faremo passare tutte le immagini che li compongono sullo schermo.
3) Simultaneità e compenetrazione di tempi e di luoghi diversi cinematografate.
Daremo nello stesso istante-quadro due o tre visioni differenti l’una accanto all’altra.
4) Ricerche musicali cinematografate (dissonanze, accordi, sinfonie di gesti, fatti, colori, linee, ecc.)
5) Stati d’animo sceneggiati e cinematografati.
6) Esercitazioni quotidiane per liberarsi dalla logica cinematografata.
7) Drammi d’oggetti cinematografati (oggetti animati, umanizzati, truccati, vestiti, passionalizzati, civilizzati, danzanti – oggetti tolti dal loro ambiente naturale in una condizione anormale che per contrasto mette in risalto la loro stupefacente costruzione e vita non umana.
otto) Vetrine d’idee, di avvenimenti, di tipi, d’oggetti, ecc. cinematografati.
9) Congressi, flirts, risse e matrimoni di smorfie, di mimiche, ecc. cinematografati.
10) Ricostruzioni irreali del capo umano cinematografate.
11) Drammi di sproporzioni cinematografate.
12) Drammi potenziali e piani strategici di sentimenti cinematografati.
13) equivalenze lineari plastiche ecc. di uomini, donne, avvenimenti, pensieri, musiche, sentimenti, pesi, odori, rumori cinematografati.
14) Parole in libertà in movimento cinematografate (tavole sinottiche di valori lirici, drammi di lettere umanizzate o animalizzate, drammi ortografici, drammi tipografici, drammi geometrici, sensibilità numerica, ecc.)
Pittura + scultura + dinamismo plastico + parole in libertà + intonarumori + architettura + teatro sintetico = CINEMATOGRAFO FUTURISTA.
Scomponiamo e ricomponiamo così l’universo secondo i nostri meravigliosi capricci, per centuplicare la potenza del genio creatore italiano e il suo predominio assoluto nel mondo.

La cucina futurista

Manifesto pubblicato sulla Gazzetta del Popolo di Torino
il 28 dicembre 1930

Il giorno 28 dicembre 1930 sulla Gazzetta del Popolo di Torino apparve il MANIFESTO DELLA CUCINA FUTURISTA:
(…) Pur riconoscendo che uomini nutriti male o grossolanamente hanno realizzato cose grandi nel passato, noi affermiamo questa verità: si pensa, si sogna e si agisce secondo quello che si mangia o che si beve.
Consultiamo in proposito le nostre labbra, la nostra lingua, il nostro palato, le nostre papille gustative, le nostre secrezioni ghiandolari ed entriamo genialmente nella chimica gastrica.
Noi futuristi sentiamo che per il maschio la voluttà dell’amare è scavatrice abissale dall’alto in basso, mentre per la femmina è orizzontale a ventaglio.
La voluttà del palato è invece per il maschio e per la femmina ascensionale dal basso all’alto del corpo umano.
Sentiamo inoltre la necessita’ di impedire che l’italiano diventi cubico, massiccio, impiombato da una compattezza opaca e cieca.
Si armonizzi invece sempre più con l’italiana, snella trasparenza, spiralica di passione, tenerezza, luce, volontà tenacità eroica.
Prepariamo un’agilità di corpi italiani adatti ai leggerissimi treni d’alluminio che sostituiranno gli attuali di ferro, legno, acciaio pesanti.
Convinti che nella probabile conflagrazione futura v’incera’ il popolo più agile e scattante, noi futuristi, dopo aver agilizzato la letteratura mondiale con parole in libertà e lo stile simultaneo, evoluto, svuotato il teatro dalla noia mediante sintesi alogiche a sorpresa e drammi di oggetti inanimati, immensificato la plastica con l’anti-realismo, creato lo splendore geometrico architettonico senza decorativismo, la cinematografia e la fotografia astratte, stabiliamo il nutrimento adatto ad una vita sempre più aerea e veloce.

CREDIAMO ANZITUTTO NECESSARIA:
a) L’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana.
b) L’abolizione del volume e del peso nel modo di concepire o valutare il nutrimento.
c) L’abolizione delle tradizionali miscele per l’esperimento di tutte le nuove miscele apparentemente assurde, secondo il consiglio di Jazzo Maincava e altri cuochi futuristi.
d) L’abolizione del quotidianismo mediocrista nei piaceri del palato.
Invitiamo la chimica al dovere di dare presto al corpo le calorie necessarie mediante equivalenti nutritivi di Stato: in polvere, o pillole, composti albuminoidei, grassi sintetici, vitamine.
Si giungerà così ad un reale ribasso del prezzo della vita e dei salari con relativa riduzione delle ore di lavoro.
Oggi per 2000 Kilowatt occorre soltanto un operaio. Le macchine costituiranno presto un obbediente proletariato di ferro, acciaio, alluminio al servizio degli uomini quasi totalmente alleggeriti dal lavoro normale.
Questo essendo ridotto a due o tre ore permette di perfezionare e di nobilitare le altre ore col pensiero, le arti e la pregustazione di pranzi perfetti.
In tutti i ceti i pranzi saranno distanziati ma perfetti nel quotidianismo degli equivalenti nutritivi.

Il pranzo perfetto esige:
1) Un’armonia originale della tavola (cristalleria, vasellame, addobbo) coi sapori e colori delle vivande.
2) L’originalità assoluta delle vivande.
3) L’abolizione della forchetta e del coltello per i complessi plastici che possono dare piacere tattile prelabiale.
4) L’uso dell’arte dei profumi per favorire la degustazione; ogni vivanda dovrà essere preceduta da un profumo che verrà cancellato dalla tavola mediante ventilatori.
5) L’uso della musica limitato negli intervalli tra vivanda e vivanda perché non distrugga la sensibilità della lingua e del palato e serva ad annientare il sapore goduto ristabilendo una verginità degustativa.
6) L’abolizione dell’eloquenza e della politica a tavola.
7) L’uso dosato della poesia e della musica come ingredienti improvvisi per accendere con la loro intensità sensuale i sapori di una data vivanda.
otto) La presentazione rapida tra vivanda e vivanda sotto le nari e gli occhi dei convitati di alcune vivande che essi mangeranno e di altre che essi non mangeranno per favorire la curiosità, la sorpresa e la fantasia.
9) La creazione di bocconi simultanei e cangianti che contengono dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi. Questi bocconi avranno nella cucina futurista la funzione analogica immensificante che le immagini hanno in letteratura.
10) Una dotazione di strumenti scientifici in cucina: ozonizzatori che diano il profumo dell’ozono a liquidi e vivande; lampade per emissione di raggi ultra-violetti (perché molte sostanze alimentari irradiate con raggi ultra-violetti acquistano proprietà attive, diventano più assimilabili, impediscono il rachitismo nei bimbi, ecc.); elettrizzatori per comporre succhi, estratti, ecc. In modo da ottenere da un prodotto noto un nuovo prodotto con nuove proprietà; mulini colloidali per rendere possibile la polverizzazione di farine, frutta secca, droghe, ecc.; apparecchi di distillazione a pressione ordinaria e nel vuoto, autoclavi, centrifughe, dializzatori. L’uso di questi apparecchi dovrà essere scientifico evitando per es. l’errore di far cuocere in pentole a pressione di vapore, il che provoca la distruzione di sostanze attive (vitamine, ecc.) a causa delle alte temperature.
Gli indicatori chimici renderanno conto dell’acidità o della basicità degli intingoli e serviranno a correggere eventuali errori: manca di sale, troppo aceto, troppo dolce, troppo pepe.

IL PRANZO FUTURISTA
La TAVERNA SANTOPALATO fu inaugurata la sera dell’8 marzo 1931 dopo una febbrile giornata d’intenso lavoro nella cucina dove i futuristi R. Filia e P.A. Saladin gareggiavano coi cuochi del Ristorante Piccinelli e Burdese nella preparazione delle vivande.

Ecco la lista del primo pranzo futurista:
1) Antipasto intuitivo (formula della Signora Colombo-Fillia)
2) Brodo solare (formula di Piccinelli)
3) Tuttoriso con vino & birra (formula di Piccinelli)
4) Aerovivanda tattile con rumori e odori (formula di Piccinelli)
5) Ultravirile (formula di P.A.Saladin)
6) Carne plastica ( formula di R.Fillia)
7) Paesaggio alimentare (formula di Giachino)
otto)Mare d’Italia (formula di Fillia)
9) Insalata mediterranea (formula di Burdese)
10) Pollo Fiat (formula di Dingheroff)
11) Equatore + Polo Nord (formula di Prampolini)
12) Dolcelastico (formula di Fillia)
13) Reticolati del cielo (formula di Mino Rosso)
14) Frutti d’Italia (formula = composizione simultanea)
Vini Costa, Birra Metzger, Spumante Cora, Profumi Dory.

ALCUNE RICETTE

TUTTORISO CON VINO E BIRRA
Riso bianco bollito così disposto: una parte al centro del piatto a forma di semi-sfera, un’altra parte attorno alla semi-sfera a forma di corona. Al momento di servire in tavola versare sulla semi-sfera una salsa di vino bianco legato con fecola e sulla corona una salsa di birra calda, rosso d’uovo e formaggio parmigiano.

MARE D’ITALIA
Su di un piatto rettangolare si dispone una base formata da strisce geometriche di salsa di pomodori freschi e di spinaci passati, in modo da creare una precisa decorazione rossa e verde. Su questo mare verde e rosso si dispongono dei complessi formati da piccole cotolette di pesce lesso, fettine di banana, una ciliegia ed un frammento di fico secco. Ognuno di questi complessi è reso organico da uno stuzzicadenti che trattiene verticalmente i diversi elementi.

CARNE PLASTICA
Composto di una grande polpetta cilindrica (A) di carne di vitello arrostito e ripiena di undici qualità di verdure cotte. Questo cilindro disposto verticalmente nel centro del piatto è incoronato con uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia (B), che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo.

DOLCELASTICO
Si riempie una sfera di pasta frolla con dello zabaione rosso nel quale è immersa una striscia (3cm.) di liquirizia in nastro.
Chiudere la parte superiore della sfera con mezza prugna secca.

EQUATORE+POLO NORD
Un mare equatoriale di tuorli d’uovo rosso con pepe, sale e limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d’uova montato e solidificato pieno di spicchi d’arancio come succose sezioni di sole. La cima del cono Sarà tempestata di pezzi di tartufo nero tagliati in forma d’aeroplani neri alla conquista dello zenit.



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